Francesco Vigliarolo
Venezuela:
storia di una crisi umanitaria annunciata
Lo scorso aprile del 2019 ho partecipato
a Padova a un dibattito sull’America Latina con particolare attenzione alla
questione venezuelana. Al dibattito, organizzato da studenti e dall'associazione
@LosteriaVolante, hanno partecipato anche alcuni venezuelani: sono ormai circa
3.000.000 gli emigrati da quando si è acuita la crisi umanitaria nel Paese.
La sensazione che ho avuto
dopo essere stato lontano dall’Italia da quasi dodici anni, è che la questione
venezuelana, come molte altre questioni latino-americane, si viva e si risolva
ancora con la stessa tensione di sempre: destra-sinistra, buoni-cattivi; con il
famoso slogan “no pasaran?” come richiamava il titolo del dibattito serale citato
e organizzato molto bene.
A mio avviso, invece, per
comprendere la situazione venezuelana, come anche quella delle democrazie
latino americane di oggi, bisogna capire “la nuova ragione populista” di
Laclau, ideologo del populismo dei governi kirchnerista in Argentina, Bolivia,
Venezuela, Ecuador, solo per menzionare i principali, che hanno animato i primi
15 anni del nuovo millennio, oggi in piena crisi.
La questione per me è tutta
qui. Il populismo laclaiano, un insieme di Hegel, Gramsci, Marx e Smichdt, a
mio avviso interpretati con molta soggettività, è antidemocratico. Porta potenzialmente e
strutturalmente a crisi pericolosissime, sociali e umane. Perché?
Per capire il “populismo” bisogna
partire dalla sua essenza, riprendendo il lascito storico dei populismi anteriori,
primo fra tutti quello russo dove nacque: “dove c’è una dicotomia c’è un
potenziale populismo”. Il populismo usa le dicotomie per spaccare i Paesi, per
dividerli e legittimare il potere dei gruppi politici che lo praticano che
finiscono per identificarsi con lo Stato, che è altra cosa del Governo. Lo
Stato, nel populismo diventa gestore di potere partitico, e non piú promotire
di diritti per tutti i cittadini di una Nazione. È questo il punto finale a cui
tende.
Ma come accade tutto ciò?
Laclau, che osserva senza dubbio il declino dei socialismi della fine del
secolo XX e forse vorrebbe rianimarli (questa è una mia interpretazione), alla
domanda di classe sostituisce quella che chiama “la domanda popolare”. Se per
Marx esisteva la domanda di classe e questa portava al socialismo, per Laclau
esistono varie domande della società che chiama democratiche che il “discorso” (aggrego populista) unifica e costituisce come domanda popolare ceh porta al populismo; ovvero i
portatori di questa domanda costruita dal discorso (piccole o grandi necessità
che siano) sono per la nuova ragione populista il nuovo popolo dentro gli
stessi Paesi. Dall'altra parte, invece, tutti coloro che sono additati dal discorso come responsabili
dell’ordine prestabilito ingiusto, che non permette soddisfare questa domanda popolare, sono i nemici su cui costruire il consenso politico e coloro da combattere,
utilizzando la categoria di amico-nemico di Schmidt.
Ma tutto ciò non è ancora sufficiente; utilizzando Gramsci, il discorso (a cui da poteri ontologici sul popolo, ovvero è il discorso che definisce chi è il popolo come così lo asserisce nella sua opera) individua una domanda popolare egemonica che si impone sulle altre e lo Stato incorpora dentro di sé, dando risposte possibili a queste parti di società per costruire la legittimità democratica. In altre parole, lo Stato come sommo bene hegeliano in cui la società civile tendeva come processo spontaneo di autodeterminazione e come volontà generale (riprendendo Rosseau), in Laclau è colui che sceglie, fagocita pezzi di società a cui da risposte possibili rispetto alle sue possibilità.
È questo un passaggio importantissimo. Il Governo populista appropriandosi dello Stato ora costruisce il patto sociale secondo le istanze che considera opportune e questo non nasce più dalla società che lo Stato deve garantire. Si trasforma, cosí, in parte tra le parti ma con molti più poteri delle stesse parti. Si diluisce, così, in una unica espressione, il dibattito democratico libero in quanto lo Stato/Governo assorbe e porta dentro di sé parti di società civile; diviene benefattore (eroga piani sociali), padre (genera e gestisce risorse) e padrone (controlla i poteri intermedi e democratici). A poco a poco, scompare l’iniziativa cittadina, diminuisce la produzione privata o si mantiene a livelli di sopravvivenza, espropria le imprese private generalmente quelle grandi, vive principalmente di risorse strategiche come il petrolio o interviene nella gestione delle materie prime per finanziarsi e controllare l’economia senza parlare della corruzione che è endemica e strutturale in tutti i governi populisti (che volendo essere magnanimi possiamo dire che la usa per finanziarsi). Il Governo finisce per sovrapporsi allo Stato che si trasforma in uno strumento di costruzione del potere e non più per assicurare i diritti e le regole democratiche per tutti i cittadini.
Ma tutto ciò non è ancora sufficiente; utilizzando Gramsci, il discorso (a cui da poteri ontologici sul popolo, ovvero è il discorso che definisce chi è il popolo come così lo asserisce nella sua opera) individua una domanda popolare egemonica che si impone sulle altre e lo Stato incorpora dentro di sé, dando risposte possibili a queste parti di società per costruire la legittimità democratica. In altre parole, lo Stato come sommo bene hegeliano in cui la società civile tendeva come processo spontaneo di autodeterminazione e come volontà generale (riprendendo Rosseau), in Laclau è colui che sceglie, fagocita pezzi di società a cui da risposte possibili rispetto alle sue possibilità.
È questo un passaggio importantissimo. Il Governo populista appropriandosi dello Stato ora costruisce il patto sociale secondo le istanze che considera opportune e questo non nasce più dalla società che lo Stato deve garantire. Si trasforma, cosí, in parte tra le parti ma con molti più poteri delle stesse parti. Si diluisce, così, in una unica espressione, il dibattito democratico libero in quanto lo Stato/Governo assorbe e porta dentro di sé parti di società civile; diviene benefattore (eroga piani sociali), padre (genera e gestisce risorse) e padrone (controlla i poteri intermedi e democratici). A poco a poco, scompare l’iniziativa cittadina, diminuisce la produzione privata o si mantiene a livelli di sopravvivenza, espropria le imprese private generalmente quelle grandi, vive principalmente di risorse strategiche come il petrolio o interviene nella gestione delle materie prime per finanziarsi e controllare l’economia senza parlare della corruzione che è endemica e strutturale in tutti i governi populisti (che volendo essere magnanimi possiamo dire che la usa per finanziarsi). Il Governo finisce per sovrapporsi allo Stato che si trasforma in uno strumento di costruzione del potere e non più per assicurare i diritti e le regole democratiche per tutti i cittadini.
Effetto di tutto ciò è la distruzione dei corpi
intermedi, la sparizione del dibattito democratico e la trasformazione di
questo in buoni e cattivi (amici/nemici) aumentano l’odio sociale che è il
terreno fertile su cui il populismo si rigenera perché istiga le masse contro
qualcosa o qualcuno; questo è l'humus del populismo.
Questo processo è ancora più
facile in America Latina dove il tessuto socio economico è molto più debole che
in altre Regioni e dipende da beni importati (si registra un deficit di conto
corrente primario della Regione, per la produzione di beni e servizi, pari a
88.300.000.000 di dollari). La politica fa un po’ da padre-padrone di fronte a
una società civile molte volte frammentata e un tessuto istituzionale debole,
senza menzionare l’economia locale. Se citiamo alcuni dati, per esempio, i
redditi medi in America Latina sono circa 8.858 dollari annuali, mentre in
Europa e in USA sono rispettivamente di 49 e 51.000 dollari. Per non parlare
della disuguaglianza del possesso delle risorse naturali per le quali si
registra un indice di Gini della terra pari a 0,79 (dati della CEPAL).
Tutto ciò incide fortemente
sui Diritti Umani. Per esempio, secondo il Rapporto Amnesty International del
2018, in Venezuela i diritti fondamentali come la libertà di espressione o di
riunione hanno sofferto un grave retrocesso negli ultimi anni: più di 50 radio
sono state chiuse; almeno 120 persone hanno perso la vita in proteste di massa;
la dissidenza che non ha partecipato dell’elezione dell’Assemblea Costituente è
silenziata e frammentata dal Governo; l’indipendenza della Giustizia non esiste
più, per esempio la Giudice Generale della Nazione Luisa Ortega è stata
destituita in circostanze irregolari; decine di civili sono stati processati
sotto giurisdizione militare; centinaia di oppositori politici sono stati presi
e risiedono in condizioni dure per i quali si denunciano anche gravi torture;
il Paese è finito in una crisi alimentaria e sanitaria senza precedenti e
da marzo di quest’anno non può somministrare più l’elettricità e l’acqua
potabile. Per non parlare della distruzione del mercato interno, di
un’inflazione che non è più misurabile e che il salario medio è solo di 3
dollari al mese.
Venezuela, in altre parole, è
stato il laboratorio in tutti questi anni di un processo populista che ha visto
la distruzione del tessuto socio-economico, dei suoi corpi intermedi,
dell’iniziativa economica, della dialettica democratica. La società non è stata
più capace di produrre le basi della propria vita. L'industria del petrolio, assorbita e
gestita dallo Stato, è divenuta l’unica risorsa economica.
In queste condizioni, la crisi umanitaria era assolutamente una crisi annunciata.
Nelle sue estreme conseguenze, “la nuova ragione populista” genera crisi umanitarie e Paesi all’orlo di guerre civili. Purtroppo una terza via non è ancora forte e anche a causa della corruzione endemica dei populismi di sinistra, le destre autoritarie sono tornate al potere come reazione a questo scenario di manipolazione di massa.
La questione venezuelana non è, quindi, una questione di destra-sinistra. È un problema di libertà della società incapaci di essere coniugate con la costruzione di una visione comune, di disuguaglianza e di iniziativa cittadina (al 2017 solo l’11,7% è attivo in settori produttivi manufatturieri); molte persone sono rimaste escluse dalla creazione del benessere locale (al 2017 la partecipazione attiva è del 64.4% e se si prende il dato delle sole donne questo è di appena poco superiore del 50%). Lo Stato controlla la gestione delle risorse. Si appropria della società per manipolarla e la gestisce (principalmente le classi più necessitate e vulnerabili) per legittimarsi con i suoi voti.
La questione venezuelana, è, quindi, un problema di processo democratico fagocitato da uno Stato che si trasforma in gestore del potere di una parte politica. L’obiettivo principale che ricercano i populismi è, cosi, il voto delle classi vulnerabili donando loro risposte di sopravvivenza, non la soluzione strutturale dei problemi del Paese. In tale direzione, un autorevole sociologo degli anni scorsi, affermava che per un piatto di lenticchie il populismo, riferendosi al peronismo argentino, comprava le libertà dei cittadini.
In queste condizioni, la crisi umanitaria era assolutamente una crisi annunciata.
Nelle sue estreme conseguenze, “la nuova ragione populista” genera crisi umanitarie e Paesi all’orlo di guerre civili. Purtroppo una terza via non è ancora forte e anche a causa della corruzione endemica dei populismi di sinistra, le destre autoritarie sono tornate al potere come reazione a questo scenario di manipolazione di massa.
La questione venezuelana non è, quindi, una questione di destra-sinistra. È un problema di libertà della società incapaci di essere coniugate con la costruzione di una visione comune, di disuguaglianza e di iniziativa cittadina (al 2017 solo l’11,7% è attivo in settori produttivi manufatturieri); molte persone sono rimaste escluse dalla creazione del benessere locale (al 2017 la partecipazione attiva è del 64.4% e se si prende il dato delle sole donne questo è di appena poco superiore del 50%). Lo Stato controlla la gestione delle risorse. Si appropria della società per manipolarla e la gestisce (principalmente le classi più necessitate e vulnerabili) per legittimarsi con i suoi voti.
La questione venezuelana, è, quindi, un problema di processo democratico fagocitato da uno Stato che si trasforma in gestore del potere di una parte politica. L’obiettivo principale che ricercano i populismi è, cosi, il voto delle classi vulnerabili donando loro risposte di sopravvivenza, non la soluzione strutturale dei problemi del Paese. In tale direzione, un autorevole sociologo degli anni scorsi, affermava che per un piatto di lenticchie il populismo, riferendosi al peronismo argentino, comprava le libertà dei cittadini.
Tutto ciò deve essere un monito per tutte le democrazie, perché quando non si riescono a risolvere
problemi strutturali socio-economici, di costruzione di un bene comune coniugandolo con le libertà e i Diritti
Umani, di disuguaglianze, ecc.. i populismi intervengono e dividono i popoli. Ma i progetti comuni Paesi solidi sono quelli capaci di tenere insieme tutte le parti, e alimentano un dibattito che si basa sull'odio sociale. Perché la "ragione ontologica" dei
popoli è una costruzione intersoggettiva attorno a valori comuni che uniscono. Il pericolo che
attraversano oggi gran parte delle democrazie moderne.
…………………………
Per approfondire la questione argentina su populismo e neoliberismo, si propone questo articolo uscito nel 2018 su Sbilanciamoci.
https://sbilanciamoci.info/populismo-argentino-la-versione-autentica/
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Per approfondire la questione argentina su populismo e neoliberismo, si propone questo articolo uscito nel 2018 su Sbilanciamoci.
https://sbilanciamoci.info/populismo-argentino-la-versione-autentica/
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